Massimo Caccia

Nasce a Desio nel 1970.
Frequenta l’Accademia di Belle Arti di Brera, si diploma in pittura e dalla fine degli anni ‘90 fondamentalmente dipinge. Espone in diverse mostre collettive e personali in Italia e all’estero ed è presente nelle principali fiere d’arte italiane. Si diverte ad affiancare al lavoro del pittore progetti più lievi: crea titoli di testa per alcuni cortometraggi, disegna scenografie e costruisce marionette.
Nel 2007 pubblica la graphic novel Deep Sleep (Grrrzetic Editrice), quindi diversi libri con la casa editrice Topipittori e dal 2015 compaiono regolarmente sue immagini su La Lettura (Corriere della Sera). Nei tempi morti prende oggetti comuni (tavoli, sedie, divani) e li trasforma in animali.
Vive e lavora a Vigevano.
Del 2018 è la mostra Giorni bestiali alla Galleria l’Affiche: 365 disegni ad acrilico su carta, 23×23 cm. Ogni giorno, il ritratto di un animale coinvolto in contrattempi improbabili, quasi drammatici, a volte sadici, comunque solenni. Le spossanti sfighe quotidiane, i paradossi destabilizzanti e assoluti: enigmatici casi della vita che invece di capitare a noi capitano, grazie a Dio, a bestie attonite che, a guardarle bene, ci ricordano amici vicini e lontani, e quindi ci assomigliano.

www.massimocaccia.it
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La Galleria l’Affiche realizza le edizioni Fine Art
di alcuni soggetti di Massimo Caccia: sono disponibili qui e qui

Presentazione al catalogo Giorni Bestiali
di Guido Scarabottolo

"Non so se avete idea di come vengano fatte le lacche giapponesi. Senza entrare nei dettagli, che sono molti, in pratica, su un oggetto di legno si applicano diverse mani di lacca, ogni volta inviando l’oggetto ad asciugare in mezzo a un lago, in modo da assicurare l’assenza di polvere e la presenza di umidità (la lacca non asciuga ma polimerizza in ambiente umido). Il processo può durare mesi. Alla fine si ottiene un oggetto che pare di plastica.
 Ovviamente quando questo procedimento è nato e si è affinato fino a questo punto, la plastica non esisteva. Ora, però, cosa ci fa preferire un oggetto di lacca alla sua copia di plastica?  O, viceversa, perché mai dovremmo usare un delicatissimo ed estremamente costoso oggetto di lacca quando esiste la plastica?
 Massimo Caccia ci pone lo stesso dilemma.
 Nella sua bottega, ordinata come quella di un artigiano giapponese, dipinge con pennello e colori, su legno e su carta, quadri semplici ed eleganti che poi, giudiziosamente “archivia” ridisegnandoli su quadernetti. Sono disegni “al tratto” in cui il colore viene ovviamente steso prima del tratto, essendo i colori utilizzati colori coprenti. Una stesura esperta ed accurata per cui detti colori risultano alla fine perfettamente “piatti”. A separarli arriva poi un tratto decisamente uniforme fatto di curve armoniosamente raccordate e di angoli precisi nella loro acutezza o ottusità. Gli occhi ci sono spesso e sono cerchi perfetti, tutto è essenziale come un teorema. Niente distrae dallo “spostamento” che è al centro del racconto di ogni quadro. Ogni volta un piccolo avvenimento, mostrato o reso immaginabile, spesso una piccola, comica tragedia.
 Non lasciatevi ingannare dal soggetto, che rimane un allegro pretesto. Il vero spostamento è nel processo. Nella quantità di lavoro e di destrezza tecnica dispiegati per arrivare a un risultato ottenibile in pochi minuti con un programma di disegno digitale. E in tutti i “perché?” che questo primo “perché?” si trascina dietro. Il perché delle lacche giapponesi. Il perché delle passeggiate in montagna, quando si raggiunge a piedi la stazione di arrivo di una funivia. Il perché si coltiva un orto. Il perché si legge un libro...Sono esercizi di meditazione. Ecco perché Caccia ha l’aria di essere un giovane saggio avviato a diventare un vecchio saggio. Mi piacerebbe molto sapere che musica ascolta mentre dipinge.
 Non cosa pensa. La meditazione è una cosa strana, ha più a che fare col fare spazio che con l’occuparlo di pensieri. Stranamente questo esercizio apre. E produce risultati che altrimenti sarebbe difficile ottenere.Da millenni il pregio di un prodotto è collegato alla quantità di lavoro che incorpora. Piramidi, cattedrali, dipinti... Questo mette in relazione bellezza con ricchezza e potere e, in fondo, con oppressione e sfruttamento e anche morte. Non è una gran bella cosa. Ma c’è un altro modo, che guarda alla qualità dell’atto di lavorare, che ha riguardo del tempo che serve a raggiungere dei risultati, dello stato fisico e mentale necessari al procedere verso un obiettivo. * Un modo che parte da chi lavora, non da chi userà i frutti del lavoro. Un modo di rispettarsi che insegna a rispettare gli altri.
 Riuscite a vedere tutto questo in un’acciuga stupefatta?

(*molti anni fa ho visto in televisione un documentario sui tesori nazionali giapponesi (in genere artigiani di eccelso livello). L’incaricato di realizzare il calamaio dell’imperatore aveva presentato il primo bozzetto dopo cinque anni di lavoro quotidiano.)"