Daniele Righi Ricco

Nasce a Napoli nel 1953, cresce in Toscana e si diploma presso l’ISIA di Urbino nel 1987.
Ha lavorato per la pubblicità e l’editoria e ha illustrato libri per ragazzi.
Dall’inizio degli anni Novanta si dedica esclusivamente alla pittura e ha esposto il suo lavoro in galleria private, soprattutto in Italia (tra le altre: 1994, Galleria l’Affiche, Milano; 1998, Palazzo dell’Arengario, Milano; 2001, Galleria Contrasti, Trani; 2005, Galleria L’Image, Vienna; 2007, Galleria L’Image, Roma).
La crescita senese gli ha lasciato un sentimento profondo della terra, che Ricco ha tradotto in pittura nella direzione intensa e precisa del paesaggio. Anche i suoi lavori più informali ne conservano la memoria, con zone di diversa intensità cromatica, talvolta ad indicare la linea dell’orizzonte che separa il cielo e la terra.
Ricco intesse nelle sue tele una tramatura di fondo fitta di segni, mescola al colore colature di gesso che impongono uno spessore materico, inserisce lacerti di giornale che contribuiscono al gioco della composizione, alterna le varie tonalità di bianco a cromie terrose, a rapidi tocchi di blu o di rosso per approdare infine alla struttura finale dell’opera.
Pittore costantemente in bilico tra astrazione e figurazione, mai incline al gioco simbolico o allusivo della pittura, fa emergere dalla tramatura iniziale di segni e colore elementi di realtà.

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La tela per Daniele Ricco è un campo di battaglia: colore steso con la tecnica del dripping, di memoria pollockiana,; strati di collage da vecchi giornali; acrilico denso che si sovrappone in linee spesse e a grumi.
I dipinti caotici di Ricco non cadono mai nella casualità e non sono sfoghi autoreferenziali: sono invece una ricerca di oggettività, un tentativo di comunicare in maniera diretta con l’osservatore. Come se la pittura non fosse qualcosa solo per se stessi, ma una poesia dedicata a chi la ascolta.
Non per niente, infatti, i soggetti preferiti di Ricco sono le vedute: città che emergono dal caos delle linee di colore e che si riconoscono dai monumenti principali, descritti dettagliatamente, con taglio quasi fotografico. Ricco ci fa fare una gita turistica elegante e sintetica, senza fronzoli ne’ troppi giri di parole e ci porta dritti al punto: la bellezza architettonica, i dettagli di luce, le prospettive a volte vertiginose.
La chiarezza e la semplicità dei dettagli urbanistici contrasta con il fervore della pittura violenta e nervosa. Gli edifici si concretizzano (quasi letteralmente) dalla materia densa come i merletti di sabbia bagnata che si fanno sui castelli di sabbia.
Ed ecco quindi Milano, Padova, Roma, ma, in tutte, la stessa atmosfera: città ovattate, ritagliate dal mondo reale e poste in un luogo ideale, dove la vita è materia e il colore è silenzio.
Che fine abbiano fatto gli abitanti, che ore siano, da dove esattamente Ricco abbia visto quella scena, non ci è dato sapere. E forse neanche tanto in che stato d’animo il pittore abbia dipinto: le tele di Ricco sono raffinate e riservate, l’impeto del gesto è sempre controllato e temperato dall’attenzione alla struttura compositiva. Una chiave di lettura ce la svela lui stesso quando rappresenta La scala di Milano: che le sue vedute siano proprio teatri, in cui va in scena una rappresentazione, fatta per lo spettatore che sta sugli spalti?
A volte le tele di Ricco sono meno figurative e la differenza tra un duomo e un orizzonte sono solo delle strisce verticali. Rossi scuri e blu accesi creano atmosfere notturne o apocalittiche sullo sfondo di un denso acrilico stellato.
Nei bianchi immensi i paesaggi si fanno sempre meno descrittivi e sempre più infiniti, come se le righe di colore rincorressero l’orizzonte, sfuggendo e allo stesso tempo cercando un‘immagine concreta.
In alcune opere, infine, la pittura non è più rappresentazione ma è essa stessa padrona della scena, specie nelle tele molto contrastate, nei bianchi e neri, dove la contrapposizione dei colori sembra una lotta estetica e simbolica tra forze opposte: pieni e vuoti, luce e tenebre, armonia e tragicità. Il pittore ricerca equilibri, rincorre risposte, pone domande che cadono nella vertigine dell’orizzontalità infinita.
Maria Giovanna Lanfranchi